A cura del presidente del movimento italiano per la vita
Si è celebrata, grazia ad Aivis Sarnico, anche quest’anno la “Giornata per la Vita: non un evento qualsiasi né da circoscrivere a un solo giorno ma l’occasione per rilanciare un impegno quotidiano che deve collocarsi a ogni livello, culturale, educativo, assistenziale, sociale e politico. Non per protestare, ma per costruire.
Bisogna ricordare che essa è stata voluta dai Vescovi italiani all’indomani dell’approvazione della legge sull’aborto (22 maggio 1978) per esprimere tutta la forza della non rassegnazione da parte della Chiesa di fronte a una legge intrinsecamente e gravemente immorale È il crinale che manifesta in modo sempre più chiaro il confronto «epocale e planetario» tra individualismo (ma anche utilitarismo) e personalismo, tra «vero e falso umanesimo», tra la cultura dell’accoglienza e cultura dello scarto.
È proprio qui che si preme per cambiare il criterio del giudizio morale e giuridico delle persone e dei popoli. La difesa dei nostri fratelli e sorelle più piccoli dovrebbe perciò davvero essere al centro dell’impegno della società e della Chiesa, così come il senso della Giornata ci insegna: è la consapevolezza che il riconoscimento del valore dell’uomo appena concepito rende più profondo ed efficace l’impegno a servizio di ogni vita umana in ogni periferia; che una cultura che riconosce la dignità umana su ogni frontiera non può non proclamare il diritto alla vita del non nato; che si dovrà operare per collegare il tema della vita nascente ai grandi temi della pace, della libertà, dell’uguaglianza, dell’accoglienza dei migranti, della fame nel mondo, della tutela di tutti gli “scartati”, dell’ecologia…
Riconoscendo nel concepito “uno di noi” si accumulano risorse intellettuali e morali per rinnovare l’intera società in una logica di solidarietà, di eguaglianza e di giustizia sociale. Allontanarsi da questa prospettiva, facendo scivolare l’attenzione su altro, significa allontanarsi dal senso della Giornata per la Vita, tradirne il messaggio originario. C’è il rischio di far scivolare l’attenzione dal tema della vita nascente ad altre questioni: oggi più che mai è necessario non “evadere” e non “annacquare”.
C’è anche un secondo messaggio, quello annuale, che si innesta sul primo. Quest’anno è «Custodire ogni vita». Bellissimo. Custodire è più che rispettare, tutelare, accogliere, curare, difendere, perché è tutte queste cose insieme, unite dal filo della prossimità che si declina nella solidarietà con la vita.
La “custodia” dell’altro rientra nella vocazione originaria dell’uomo. C’è un intenso passaggio nell’enciclica Evangelium vitae di san Giovanni Paolo II: «Di fronte a Dio, che lo interroga sulla sorte di Abele, Caino, anziché mostrarsi impacciato e scusarsi, elude la domanda con arroganza: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?”. “Non lo so”: con la menzogna Caino cerca di coprire il delitto.
Così è spesso avvenuto e avviene quando le più diverse ideologie servono a giustificare e a mascherare i più atroci delitti verso la persona. “Sono forse io il guardiano di mio fratello?”: Caino non vuole pensare al fratello e rifiuta di vivere quella responsabilità che ogni uomo ha verso l’altro. Viene spontaneo pensare alle odierne tendenze di deresponsabilizzazione dell’uomo verso il suo simile, di cui sono sintomi, tra l’altro, il venir meno della solidarietà verso i membri più deboli della società – quali gli anziani, gli ammalati, gli immigrati, i bambini – e l’indifferenza che spesso si registra nei rapporti tra i popoli anche quando sono in gioco valori fondamentali come la sussistenza, la libertà e la pace» (n.8). Nel venir meno della custodia della vita – scrivono i Vescovi italiani – rientrano anche «la riaffermazione del “diritto all’aborto” e la prospettiva di un referendum per depenalizzare l’omicidio del consenziente […]. La risposta che ogni vita fragile silenziosamente sollecita è quella della custodia».
È inevitabile soffermarsi su un tratto esclusivamente femminile: la gravidanza, il più intimo, intenso e duraturo degli abbracci, la “prossimità più prossima”, che rende carnalmente tangibile il privilegio e il primato della donna nel custodire la vita. La custodia della vita ha urgente bisogno della forza e del coraggio delle donne, e alla luce della maternità tutta la società è chiamata a farsi grembo di ogni madre in difficoltà di fronte all’accoglienza di una nuova vita, e a farsi grembo anche di ogni altra fragilità. Questo è il senso della campagna «Cuore a cuore», promossa dal Movimento per la Vita, e di due pubblicazioni che approfondiscono il senso della Giornata: «Giornate di Vita» e «Per ritrovare speranza» entrambe edite dal Movimento per la Vita italiano (per prenotazioni: ordini@mpv.org).
Si dovrà operare perché tutto il lavoro per la vita nascente sia l’inizio di un cammino nuovo, che riguarda l’umanità, le famiglie, le persone. Ci sono mamme che hanno deciso di proseguire la gravidanza perché le parole diffuse e ascoltate in occasione della Giornata hanno risvegliato in loro il coraggio dell’accoglienza. E per loro è iniziato un cammino nuovo.
Che sia un anno di forte impegno, insieme, per la vita.